Di seguito riportiamo, per chi volesse rileggere e approfondire, il testo della predicazione di domenica 11 settembre, preparata e pronunciata dal diacono che ha presieduto la liturgia della Parola, Stefano Gardoni.
letture di riferimento: Es 32,7-11.13-14, Sal 50, 1Tm 1,12-17, Lc 15,1-32.
Chi è Dio? A questa domanda risponde la Liturgia della Parola di questa XXIV Domenica, che ci presenta la bellissima pagina della grande Parabola della Misericordia .
La Bibbia non è un libro di morale, come non è un libro di storia , di geografia, di scienze, di diritto, ecc. La bibbia è la Parola d’Amore che Dio rivolge all’uomo per chiamarlo alla comunione con lui e alla felicità senza fine; ciò avviene mediante la rivelazione di Dio nella storia della salvezza, dove Egli con il suo insegnamento ci rende partecipi del suo mistero d’amore. E se volessimo scegliere,in tutta la bibbia un brano che ci aiuti a conoscere Dio ed il suo progetto su di noi,questo potrebbe essere la pagina odierna del Vangelo. Il lungo brano che abbiano ascoltato non è una composizione di tre parabole messe insieme; il brano che abbiamo ascoltato racchiude la grande parabola della Misericordia (una sola parabola !) dove, attraverso tre episodi, Gesù ci rivela Dio e il suo progetto d’amore.
Chi è Dio? Gesù risponde a questa domanda attraverso il racconto dei tre episodi mentre si trova davanti a un pubblico un po’ particolare: pubblicani e peccatori , quindi, gli ultimi, i più emarginati e i più odiati, i farisei e gli scribi, ovvero coloro che sanno, o meglio, credono di sapere tutto su Dio.
Con il primo episodio della parabola Gesù ci rivela che Dio è il buon pastore. L’immagine del pastore non è inventata da Gesù ma è ripresa dall’Antico Testamento (v. Ez 34) , a cui è molto cara. Dio è quel Pastore buono, attento, premuroso …che, perduta una delle sue cento pecore, lascia le novantanove nel deserto e si mette alla ricerca di quella perduta. E quando la ritrova, fa festa!
Avrebbe potuto lasciare perdere: una sola pecora vale forse più del gregge che il pastore abbandona nel deserto?
Con il secondo episodio molto simile al primo, Gesù ci rivela che Dio lo si può riconoscere in quella donna che, perduta una della sue dieci monete, mette tutta la casa sotto sopra fino a trovarla.
La dramma o dracma era una moneta del tempo avente un valore molto piccolo, forse oggi sarebbero per noi solo pochi centesimi.
Anche qui, la donna avrebbe potuto lasciare perdere, la sua ricerca non sarebbe stata così necessaria, visto il valore della perdita! Ma la donna non si arrende, la sua ricerca è premiata e ne segue una festa per il ritrovamento della moneta perduta.
Nel terzo episodio Dio è quel padre che si vede perdere uno dei suoi due figli. Il figlio minore crede di non avere più bisogno del padre, di poter fare da solo, di poter essere, come diremmo noi oggi “indipendente” . Ma presto si accorge del suo errore, della sua prepotenza… si accorge soprattutto di non essere più figlio, di non avere più quel punto di riferimento che è il Padre! Si accorge di non avere più felicità di prima. L ‘effetto principale che il peccato provoca in noi è la perdita della felicità della gioia e quindi l’accentuarsi della solitudine e della sofferenza interiore.
Il padre, certamente,durante l’assenza del figlio, è animato da una santa inquietudine, tanto che l’attende sulla porta di casa e, appena lo vede spuntare da lontano, gli corre incontro, lo abbraccia e fa festa per questo figlio che : “era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”.
In questo padre, è chiaro , Gesù intende celebrare l’infinita bontà di Dio, che rispetta la libertà dell’uomo, compresa la libertà di sbagliare, ma trepida e spera nel suo ravvedimento, e quando avviene, dimentica, fa festa. E’ altrettanto chiaro che quel figlio prodigo siamo noi: tanto o poco, prima o poi, tutti ci siamo allontanati da Dio, sperperando in esperienze degradanti le ricchezze di mente e di cuore ricevute da Lui, solo un ritorno a Lui può ridarci la dignità perduta; Lui che non castiga e anzi è pronto a riaccoglierci a braccia aperte.
Dio non si compiace della nostra sofferenza, del nostro dolore, della nostra morte perché il nostro Dio è padre, un Padre innamorato dei suoi figli, sempre pronto al perdono, all’accoglienza, ad abbracciare i suoi figli perduti, le sue pecore disperse.
Il nostro Dio è un Dio che fa festa per noi, ogni volta che torniamo a lui. Ogni volta che uno solo dei suoi figli si perde, Dio soffre per quel figlio perduto! Allo stesso modo, fa festa per un solo figlio che torna a lui.
Dio è Padre di infinita Misericordia, Dio ci ama immensamente e vuole che ciascuno di noi sia partecipe della sua Misericordia e del suo Amore.
Quando l’orgoglio, la prepotenza , la superbia, la vendetta ed ogni male di questo mondo albergano nel nostro cuore, Dio è pronto ad accoglierci tra le sue braccia, se noi torniamo a Lui.
E quando continuiamo a vedere attorno a noi segnali di dolore, di sofferenza, di solitudine, di angoscia, di disperazione, di morte, Dio è sempre lì, ad offrirci la sua gioia e la sua felicità se noi torniamo a Lui.
Ci stiamo autoconvincendo , cogliendo i tanti segnali negativi che provengono oggi da ogni parte del mondo, che l’uomo è orientato alla morte e non alla Vita; ma ciò non avviene forse perché egli si è allontanato da Dio pensando di potercela fare da solo? Anche quando Dio cerca l’uomo , egli continua a fuggire e a non farsi trovare, convinto sempre di più di poter fare a meno di Lui.
Sono interrogativi che oggi devono scuoterci, perché ciascuno di noi è chiamato a percorrere le strade della Vita e non quelle della morte! Ce lo dimostra la prima lettura, un brano molto conosciuto, un brano dove noi oggi forse ci ritroviamo; anche noi ci siamo fatti idoli di metallo fuso come il popolo di Israele, il popolo dalla dura cervice. Noi adoriamo oggi il dio denaro, il dio sesso, il dio droga, il dio successo, il dio potere… E’ Cristo Gesù, l’unico mediatore tra Dio e noi, continua ad intercedere presso il Padre per noi come Mosè; il suo corpo spezzato e il suo sangue versato, quando in ogni Eucaristia Egli rinnova per noi la sua passione redentrice, sono il cibo e la bevanda che ci purificano dal peccato e che ci ammettono a quella comunione di amore, di pace, di felicità, che non sono di questo mondo, ma che appartengono all’eternità.
La parabola della misericordia sembra non avere una conclusione, perché il figlio maggiore, assalito dalla gelosia e dall’orgoglio non si sa se sia entrato in casa a fare festa per suo fratello o se sia rimasto fuori. Il fratello maggiore, il figlio che non si è mai allontanato dal padre è stato sempre vicino a lui obbediente e rispettoso, almeno nella forma,ma che si rivela in tutta la sua povertà interiore quando, a distanza, sente venire, dalla casa paterna i suoni, le risa e l’allegria della festa; una festa per quel fratello sconsiderato, che aveva sciupato gran parte del patrimonio di famiglia in avventure senza senso.
Per questo giovane scapestrato, suo padre aveva fatto festa senza badare a spese e qui il giovane, che mai si era allontanato dal Padre, manifesta tutta la collera e la gelosia per il fratello, tutta l’amarezza del suo cuore, incapace di amare, un cuore che pur nella vicinanza al padre, di lui non aveva capito la potenza e la grandezza dell’amore.
Questo figlio un genere d’uomo che può albergare nel cuore di ognuno di noi anche di chi crede di essere cristiano, questo figlio così perfetto era solo capace di giudicare e giudicando, sapeva solo condannare.
La parabola ci invita a riflettere anche su questa figura di figlio , che presume di essere perfetto e perciò meritevole agli occhi del padre, ci invita a riflettere per capire che, al di la e al di sopra della logica del merito, anch’essa in giusta misura, valida, c’è la logica dell’amore, della gratuità, del perdono e della comunione: “Siate misericordiosi come è misericordioso il Padre vostro che è nei cieli. Non giudicate e non sarete giudicati, non condannate, e non sarete condannati, perdonate e vi sarà perdonato”. (Lc. 6, 36-37).